Partire dalle radici
Il tempo: giugno 2020, il momento più buio per l’Italia del Covid.
Il luogo: un vulcano da cui potevi vedere la natura e le vigne ricrescere dopo la colata lavica.
È lì, in quel momento, che nasce Vinevo: un atto d’amore per l’Italia migliore, con l’obiettivo di raccontarne le storie più vere, e farle conoscere oltre i nostri confini.
Amare il vino è amare un mondo e una cultura. È amare angoli d’Italia raramente battuti. È amare un modo di avvicinarsi e rispettare la natura e il tempo. È amare la diversità, e saperla rispettare
E la diversità è la base del vino italiano e del nostro primo viaggio. Se la Francia ci ha regalato alcuni dei più grandi vini del mondo, con vitigni che sanno esprimersi a ogni latitudine, l’Italia è una terra che parla tante lingue diverse, dalle valli alpine alla Sicilia più assolata. Vitigni autoctoni, storici, che parlano di una terra e un territorio.
Certi che la natura non fa mai nulla di inutile, il nostro sguardo parte dal basso, dalla terra, da quel terreno che fa crescere vitigni diversi e spesso unici lungo la nostra penisola, dalle Alpi e dai confini del Nord alle isole. E che la natura non faccia nulla di inutile è il credo di Damijan Podversic, tra i grandi vignaioli italiani: i suoi bianchi dalle lunghe fermentazioni sulle bucce ti incantano con l’oro profondo del loro colore, ti chiedono di attenderli e di concederti il tempo di capirne i profumi, ed esplodono al gusto. I suoi vini raccontano il Friuli-Venezia Giulia quando è già quasi Slovenia.
All’estremo opposto della penisola, Marilena Barbera vive e fa il vino a Menfi. Vive il vino con dedizione, che traspare dalle sue storie, ricche di amore e Sicilia. Le sue sono vigne di mare, intrise di sale, scintillanti del sole siciliano, di cui portano la ricchezza dei profumi. Grillo, zibibbo, catarratto: vini che portano la Sicilia nel vostro bicchiere, raccontando un terroir, un fazzoletto di terra, un modo di guardare al vino diretto, vibrante, senza artifici.
Dalla Val di Susa alla Valdobbiadene
In Val di Susa, Stefano Turbil de La Chimera, un uomo di montagna tenace e determinato che non ha paura della fatica, ha recuperato vitigni storici come l’avanà, dal sapore forte e generoso: un vino che regala note di frutta matura, freschezza e una grande bevibilità che solo l’altitudine può dare.
Nei suoi vini non c’è solo la voglia di recuperare una tradizione o il rispetto verso quello che la natura dà, ma quella di preservare un territorio: fare vino in terreni scoscesi, di montagna, significa curare i muretti a secco, limitare il bosco, rendere fertile il terreno. E il terreno restituisce, soprattutto se lo sai aspettare come fa Stefano, con vendemmie tardive che fanno esprimere al meglio i vitigni locali.
In mezzo, c’è un mondo, il mondo dell’Italia del vino. La diversità e l’orgoglio di saper parlare una lingua tua, unica, e al tempo stesso comune a tanti altri.
Parlando di vitigni che sanno raccontare un territorio, l’Italia ha quello che ne è probabilmente il principe: il nebbiolo, che in Valtellina prende il nome di chiavennasca e ha saputo scovare l’unico vero angolo di terra in cui sa esprimersi al meglio al di fuori delle Langhe. È in Valgella, la zona più alta della Valtellina, in cui la vendemmia parte anche venti giorni dopo rispetto alle prime propaggini della valle, che la Società Agricola Sandro Fay fa il suo vino: un nebbiolo di montagna, che si spinge fino a degli impossibili 900 metri, che profuma di viola, di mora di rovo, di una spezia dolce che ammorbidisce un tannino delicatissimo e lo rende un vino del cuore, per le serate in cui volete coccolarvi.
E se il nebbiolo è uno dei vitigni che hanno fatto grande l’Italia nel mondo, il Prosecco è il vino che il mondo più conosce dell’Italia. Ma quello di Gregoletto è un Valdobbiadene speciale, come solo può essere quello di una famiglia che coltiva la stessa terra dal 1600. Colline, colline, colline, ripide e dolci, calde come a Pieve di Soligo o fredde come a Vittorio Veneto. Colline che danno un prosecco (non solo frizzante!) come non ne avete mai bevuto.
Custodi della propria terra
Altra grande terra di vino è la Toscana, ma la vogliamo guardare in maniera obliqua, scoprire la Toscana che non t’aspetti: Fattoria Fibbiano coltiva i classici Sangiovese e Canaiolo da cui escono magnifici rossi, ma noi ci siamo innamorati di una meravigliosa Colombana, un bianco che profuma di frutta esotica e arriva freschissimo al palato, chiedendo solo di berne un altro bicchiere. L’unicità di Fibbiano sta anche in un vigneto del 1900 da cui sono nate buona parte delle vigne della cantina.
Una storia così lunga richiede dei custodi prima ancora che dei vignaioli, e questo è quello che sono Matteo e Nicola, i ragazzi di Fibbiano.
Dalla Toscana ci imbarchiamo su un traghetto per la Sardegna – non per una vacanza, ma per scoprire una gemma nascosta in Ogliastra: Perdarubia e i suoi vigneti di Cannonau a piede franco. Sì, perché qui la fillossera che ha sterminato le viti cent’anni fa non è arrivata, e i vini di Perda Rubia sono diretti e sinceri come raramente ci è capitato di berne. Mario Mereu è l’erede di terza generazione del nonno Mario, di cui Mario Soldati in “Vino al vino” scrisse che era “un artigiano puro che utilizza metodi moderni per un cannonau che si può definire una perla”.
Sempre in Sardegna, Quartomoro è un canto d’amore per quella terra: una cantina piccola, soli 25 ettari, ma 25 ettari speciali: sparsi per tante zone della Sardegna, nell’esperimento che Piero Cella, vero custode e cultore della varietà native sarde, ha voluto tentare di coltivare tanti vitigni autoctoni, con rese bassissime, ascoltando quello che il territorio, ogni territorio, aveva da dire. Ne nascono le Memorie di Vite, identificate da solo tre lettere a lasciare intuire il vitigno, vini di un fascino e una profondità unici.
U vinu si fa ca racina
Scendendo verso sud rimaniamo su un’isola, Ischia, per scoprire delle vere chicche nascoste, dei vini che sanno di mare e vulcano, in cui senti il salmastro dell’aria ischitana e la mineralità dei suoi terreni, tanto da essere di una freschezza insolita, quasi alpina. Sono i vini di Cenatiempo: Biancolella, Forastera e tanti altri vitigni autoctoni in piccolissime produzioni. Vini che sono come il loro produttore, Pasquale Cenatiempo, taciturno come un montanaro e appassionato come un uomo di mare. Una piccola, grande scoperta.Prima di chiudersi a Menfi, il nostro ideale giro d’Italia attraversa lo stretto e alle pendici dell’Etna incontra I Vigneri di Salvo Foti. Salvo è il mecenate dei vini umani che ha preservato e alimentato la tradizione agricola e vinicola dell’Etna, il narratore di storie e memorie di terre e di uomini.
Quello che ti colpisce è che la diversità che hai incontrato nei vitigni delle regioni italiane, da Salvo la trovi guardando la vigna stessa, in cui convivono viti giovani, e vecchie, di diversi vitigni e cloni.
Una diversità che ritrovi nel bicchiere, con un vino di personalità sorprendente e dritto, naturale, fatto per restituire il luogo in cui nasce e raccontarlo. Come piace a noi, e come in fondo è il tratto distintivo dell’Italia che vogliamo raccontare. Perché, come diceva il nonno di Salvo Foti, “u vinu si fa ca racina”. Certo, il vino si fa con l’uva. E con gli uomini che la lavorano, e le loro storie. Queste.
Buon viaggio.