Produttore del mese

Il Vignale di Cecilia, una sinfonia nei Colli Euganei

Incontriamo Paolo Brunello e scopriamo con lui le affinità tra vino e musica.

"Musica e vino sono due mestieri inutili, ma al tempo stesso sono molto utili: fanno bene all'anima"

Chiunque sapesse suonare uno strumento, e sapesse suonarlo così bene tanto da averne fatto una professione e girato mezzo mondo per dare concerti, andrebbe in giro col petto gonfio come un tacchino e la coda come un pavone innamorato. Invece, a Paolo Brunello, oggi vignaiolo a Baone, sui Colli Euganei, le informazioni sulla sua “prima vita”, come la chiama lui, dobbiamo strappargliele con le pinze. Accenna un reticente “prima facevo un’altra professione”, oppure “quando mi occupavo d’altro”, finché esasperati siamo costretti a chiedergli, durante la video-intervista, «Paolo, potresti per favore dire chiaramente che facevi il musicista, che suonavi il violoncello, e che eri pure bravo?».
1.

Domande e risposte

Lui sorride, sa che a ognuno è assegnato un ruolo da sostenere, e a lui è toccato questo, l’artista contadino, anche se forse ne farebbe volentieri a meno. Abbiamo l’impressione di avere a che fare con un uomo semplice, uno che nella vita si è fatto delle domande ed è soddisfatto delle risposte che ha trovato. Un uomo capace di cambiare rotta, quando è stato necessario, «ero convinto di suonare nella maniera più giusta, quando ho incontrato persone che suonavano in maniera differente dalla mia; mi sono incuriosito, e così ho scoperto la musica antica con strumenti originali. Così nel vino, ho iniziato facendo vino di scuola. Non sapendolo fare, umilmente mi sono affidato ad un enologo, che mi ha fatto fare degli ottimi vini tradizionali. E poi ho conosciuto persone che facevano e bevevano vini diversi dai miei, mi ci sono appassionato e oggi faccio vini come piace a me”.

Avremmo voluto fare l’intervista in vigna, ma il frinire delle cicale è assordante, ci rifugiamo nel fresco della cantina. Sul fondo, una parete di vecchie barrique, ma a farla da padrone sono le vasche in cemento lungo i lati, «il mio obiettivo è trasferire il territorio nel bicchiere, e il cemento non cede aromi, trovo sia il contenitore ideale per i miei vini. Al limite, uso barrique esauste, che fanno respirare ma non alterano il profilo dei vini.
Queste erano le vigne di mio nonno, da bambino giocavo in mezzo ai filari. Nel ’99 lui non riusciva più a starci dietro, e mi fu offerto di gestirle, l’alternativa era la vendita. Mi sono detto ‘vabbé, proviamo’, la musica mi lasciava del tempo libero, e così ci ho preso gusto.
Oggi siamo arrivati a una decina di ettari di vigneto, un migliaio d’ulivi e un po’ di bosco. Nel frattempo ho smesso di suonare, un po’ per gli impegni della campagna, e un po’ per scelta. E sono convinto di aver fatto la scelta giusta»
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2.

Lavorare per sottrazione

Oggi Paolo produce circa 50.000 bottiglie, utilizzando per i rossi vitigni bordolesi, che da due secoli fanno parte del panorama enologico dei Colli Euganei (merlot, cabernet sauvignon, cabernet franc, carmenere), mentre per i bianchi usa vitigni autoctoni come il moscato, la glera, il tocai e la garganega.
L’idea che Paolo segue nella produzione è davvero semplice, meno è meglio. Perché se l’obiettivo è ritrovare il territorio nel bicchiere, occorre che questo territorio non venga deformato da interventi che ne possano snaturare le caratteristiche. Allora niente sfogliature nei periodi caldi per aumentare la concentrazione degli acini, né legni nuovi in cantina per aggiungere tannini, «è solo togliendo che si capisce cosa può dare un territorio».
E bastano pochi sorsi di Còvolo (merlot e cabernet sauvignon) o di Cocai (tocai italico) per apprezzare la freschezza che questa ostinata ricerca di naturalezza può apportare ai vini.
Un altro punto che Paolo tiene a rimarcare è quello del prezzo, «un vino deve essere buono, sano ed accessibile. Non va regalato, ma non deve nemmeno diventare un oggetto di culto. Altrimenti finisce che apprezzi e bevi l’etichetta, non il vino».

Dal 2006 a Vignale di Cecilia si pratica agricoltura biologica, «non è stata una scelta dettata da moda, profitto o altruismo, ma solo da motivi puramente egoistici».

Non sono un imprenditore del vino, io sono un agricoltore, sto in vigna, e voglio starci senza avvelenarmi. Il biologico non ha costi aggiuntivi, né economici né ambientali, si tratta solo di fare qualche passaggio in più in vigna, che problema c’è?.

3.

Da musicista a direttore d'orchestra

Dobbiamo scattare qualche foto, e allora lasciamo il fresco della cantina per tuffarci nel caldo stordente delle vigne, «mi volete morto! – esclama Paolo – qui la valle ha proprio la forma di un forno. Qui su c’è il Monte Cecilia, da cui il nome dell’azienda, Vignale di Cecilia, che è poi anche un omaggio a santa Cecilia, protettrice dei musicisti». Musica e vino continuano a rincorrersi.

Paolo ci tiene a mostrare la sua ultima passione, un piccolissimo gregge di pecore, quattro femmine con i loro agnelli; entra nello stazzo, le chiama per nome, le accarezza. È chiaro che ogni cosa che fa è per seguire un piacere personale, una propria soddisfazione. Che è poi il modo migliore per far delle cose che piacciano anche ad altri.

Passiamo una mezz’ora a giocare con il drone, ma è tempo per uno spuntino all’ombra: un ricco tagliere di formaggi locali, una soppressa profumata e una garganega fredda. È per momenti come questo che facciamo questo mestiere.

Proviamo a vincere la ritrosia di Paolo a parlare del passato, e lui, adesso più rilassato, ci concede qualcosa: «Sono cresciuto suonando il violoncello. Spesso si accomunano musica e vino, come due situazione da sogno. In realtà sono due mestieri, ed entrambi sono completamente inutili – qui a Paolo scappa un sorriso – la musica non è necessaria, il vino non è necessario, però al tempo stesso sono entrambi molto utili, perché fanno bene all’anima. Magari al fisico no, ma all’anima sì. Un buon bicchiere di vino, o una bella musica, sicuramente fanno bene a chi ne usufruisce!
Oggi non rimpiango il mestiere da musicista. Innanzitutto perché sono a casa mia, sono cresciuto qua, sono sul mio palcoscenico, non su quello altrui. La musica mi piaceva farla, c’era sempre la valigia pronta, e ho avuto modo di vedere il mondo. Ma i ritmi di vita di un agricoltore sono molto più sani di quelli di un musicista; io sono una persona diurna, mi alzo presto al mattino e la sera ho sonno, e questo non andava d’accordo con i ritmi della musica. Poi non sono mai stato un solista, ho sempre fatto parte di gruppi, quindi di fatto ero ‘un impiegato’. Venivo chiamato per svolgere la mia opera, ma non gestivo del tutto la mia attività. Adesso decido tutto io, nel bene e nel male, faccio io i vini buoni, faccio io le cazzate. Quando suonavo ero un violoncellista, adesso sono il direttore d’orchestra!»
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