Il vino sostenibile
Il concetto di agricoltura sostenibile è strettamente legato alla ricerca di una maniera di coltivare che sia rispettosa dell’ambiente e del territorio, in opposizione al consumo irresponsabile delle risorse naturali. Fare vino sostenibile significa anche, e forse soprattutto, cercare di preservare le risorse naturali e la biodiversità per le generazioni future, al contempo mirando a un’ottima qualità dei prodotti – in questo caso, ovviamente, il vino. Tuttavia il concetto di sostenibilità può avere significati molto diversi a seconda del contesto, ed il rischio è che si tratti di principi nobili, ma vaghi. Da questo punto di vista l’Italia ha compiuto un passo importante proprio nel 2021, con l’approvazione di un Decreto che definisce gli standard per la produzione di vino sostenibile, andando ad armonizzare una serie di precedenti regolamenti e iniziative. L’Italia è il primo paese europeo a dotarsi di un sistema nazionale sul vino sostenibile e a breve il decreto ministeriale dovrebbe definire in maniera dettagliata il disciplinare di produzione del vino sostenibile: dalle regole su agrofarmaci e fertilizzazioni, alle pratiche in cantina. Non mancheranno, infine, gli aspetti sociali ed economici.
Ma se di vino sostenibile avete forse sentito parlare, vi sarà capitato quasi sicuramente di sentire citati i vini biologici, biodinamici e naturali. Vediamo cosa sono.
Il vino biologico
Il vino biologico è semplice da definire, perché esiste una normativa specifica (Regolamento europeo 203/2012) che deve seguire, che va dal divieto di pesticidi, diserbanti e concimi chimici sulle viti (fatta eccezione per i trattamenti a base di rame), a un preciso elenco delle sostanze e degli organismi ammessi nel lavoro in vigna.
Il regolamento riguarda anche i metodi usati in cantina, per produrre il vino, che però, nel complesso, non sono molto diversi dai convenzionali.
Quando si parla di vino biologico quindi ci si riferisce essenzialmente alle pratiche in vigna, di coltivazione, e non al lavoro in cantina. L’obiettivo rimane però quello di rispettare il territorio, così che il vino prodotto lo esprima correttamente, ne riporti i profumi, i sapori, e in un certo senso ne sia fotografia e racconto.
Il vino biodinamico
Il vino biodinamico non ha una legislazione specifica, ma una certificazione di settore che è fornita dall’associazione Demeter. Alle pratiche dell’agricoltura biologica aggiunge pratiche più “filosofiche”, strettamente legate alle idee di Rudolf Steiner, che prevede un profondo legame con la natura e grande rispetto dei suoi ritmi. Il numero di sostanze ammesse è molto ristretto, le operazioni di cantina sono solitamente svolte in corrispondenza di specifici momenti astrali, mentre in vigna… beh, in vigna sono a volte usate tecniche eterodosse come il corno-letame (che è esattamente quello che dice, un corno di vacca riempito di letame) da interrare nel vigneto.
Ma sgombriamo il campo dai dubbi: se le ultime righe vi sono sembrate stravaganti, i vini dei produttori biodinamici sono spesso eccellenti, e soprattutto non sono solo prodotti da piccoli vignaioli isolati: Romanée Conti, uno dei più rinomati produttori al mondo, lavora in regime biodinamico.
Il vino naturale
Più sfumato è invece il concetto di vino naturale, per cui non esistono realmente disciplinari, regolamentazioni o definizioni precise. Anzi, citando Jonathan Nossiter, l’autore del documentario Mondovino e del libro Insurrezione culturale, si può dire che ciò che distingue il vino naturale da quello convenzionale è che non ci sono regole. Un vino naturale vuole essere l’espressione naturale di un terroir, alla ricerca di un gusto originario del vino. È un vino solitamente ottenuto da agricoltura biologica, ma rispetto a quest’ultima c’è un ricorso ancora più limitato a sostanze esterne in vigna e cantina (di solito solo piccole dosi di solfiti), e utilizzando solo fermentazioni spontanee con lieviti indigeni – quindi i lieviti che sono già naturalmente presenti sulla buccia dell’uva, senza aggiunte (solitamente i lieviti che si usano per fare fermentare l’uva sono aggiunti e “selezionati”, perché permettono un maggiore controllo sui risultati, proprio perché si comportano in maniere precise e conosciute).
Per il resto, ogni associazione che si occupa di vini naturali, come VinNatur e il Consorzio Viniveri, può imporre requisiti diversi, anche se tra i più comuni c’è quello che richiede che si coltivino vitigni tradizionali del territorio. La produzione di vini naturali è ancora piccola (attorno ai 15-20 milioni di litri l’anno – considerate che di Prosecco ne vengono prodotti 700 milioni di litri!), ma è sempre più significativa, anche dal punto di vista culturale. Forse non sarà semplice applicare i criteri del vino naturale a grandi produzioni, ma l’impatto di questo movimento sta portando a ripensare il lavoro in cantina, limitando il più possibile l’uso di additivi e sostanze estranee.