Paesaggio e natura
Arrivo a Sassotondo la domenica sera, quasi all’ora del tramonto. Prima di arrivare faccio una tappa a Pitigliano, borgo di grandissimo fascino, arroccato su una rupe di tufo, molto ben conservato, che offre una vista spettacolare sulla natura selvaggia di questi luoghi. Poi risalgo in auto, scendo dalla rupe, prendo una strada laterale, passo attraverso un bosco piuttosto fitto e il panorama si apre di colpo: sono su un altipiano molto vasto, circondato da colline e immerso in un paradiso di natura dai tratti forti. I colori della terra e del prato, degli alberi, delle viti e degli ulivi danno una sensazione di grande armonia. Da un lato c’è una forra scavata dall’acqua nella roccia, la vegetazione si fa più fitta. Varcato il cancello e percorrendo i 600 metri per arrivare alla casa e cantina incontro sei/sette cavalli che ho poi scoperto essere i cavalli “andati in pensione” del vicino maneggio (che organizza, mi dicono, trekking bellissimi per la Maremma), e che Carla e Edoardo ospitano nella loro proprietà. Ma non ci sono solo cavalli: ospitano infatti anche delle arnie con le api di un altro vicino e delle installazioni artistiche poste subito dopo l’entrata, oltre che due cagne simpatiche e vivaci che sono sempre con loro e alcuni gatti che circolano per la proprietà.
Vado a fare una piccola passeggiata e la prima cosa che mi colpisce è l’ampiezza degli spazi, la diversità delle specie presenti e poi dei bellissimi filari d’uva, piantati tra gli ulivi. La sera ceniamo insieme e già intuisco tutta la passione che sta dietro al loro lavoro e al vivere questa esperienza.
La mattina seguente Carla mi racconta la loro storia. Lei, agronoma trentina, e Edoardo, romano che ha sempre lavorato nel mondo del cinema e dei documentari, come già avevano fatto suo padre e suo nonno, che era stato cameraman per Hitchcock, sono arrivati qui, un po’ per caso, nell’89.
L'arrivo a Sassotondo
“Cercavamo una casa per le vacanze e ci siamo imbattuti in un cartello di un’agenzia che diceva ‘Vendesi azienda agricola, 65 ettari’, e abbiamo deciso di andare a vederla. Sembrava di stare nelle highlands in Scozia, su un altipiano, erba bruciata, colori della terra, vento… rimaniamo folgorati. C’era solo mezzo ettaro di vigna. L’ufficio dove ora chiacchieriamo era il locale per le pecore. La casa era abbastanza malmessa. Il pezzo forte era l’uliveto. La cantina c’era ma non ce l’hanno neanche fatta vedere (sull’arco di volta della cantina l’insegna dice 1934). Fino agli anni ‘50 probabilmente il vino lo facevano, come tanti a Pitigliano, per il mercato romano. Soprattutto vino bianco. Il Bianco di Pitigliano è una delle Doc più antiche d’Italia.
Siamo arrivati senza un progetto, ma io sono agronoma e sono trentina ‘e nel vino ci pucciano da piccoli’. Avevamo fatto i corsi Ais a Roma con Cernilli e Sangiorgi e così abbiamo iniziato a piantare vigne. Biologici sin dall’inizio.
Vendevamo l’uva e ci facevamo il vino per casa. Poi è arrivato Gian Vittorio Baldi, amico di famiglia di Edoardo, anche lui uomo di cinema, che aveva azienda agricola a Modigliana dove faceva con successo il Ronco dei Castellucci, ci ha presentato il suo enologo Attilio Pagli, e il suo consulente Remigio Bordini, e con un po’ di pazzia siamo partiti e nel ‘97 abbiamo fatto la prima vendemmia di ciliegiolo nella vigna di San Lorenzo e di bianco dalla vigna Isolina per la nostra produzione di ciliegiolo e di Bianco di Pitigliano (fatto con Trebbiano, Sauvignon e Greco).
Dovevamo dare un nome alla nostra azienda: ricerchiamo i toponimi, andiamo al catasto. il nome del podere era ‘Podere di pian di Conati’ e stava tra Fosso del Puzzone e Valle Morta. Puzzone viene da pozzone, una grande vasca d’acqua situata nel territorio dove lavavano le pecore prima di tosarle e Valle Morta perché qui è una necropoli, è una valle piena piena di tombe. Nomi pieni di significati ma non erano certo di buon augurio per la nostra cantina. Allora ci siamo ispirati a un sasso tondo presente nel giardino e intorno al quale nostra figlia Francesca aveva cominciato subito a giocare, e da lì il nome dell’azienda”.
Sin dall’inizio patti chiari con Edoardo sulla suddivisione dei compiti in cantina e in azienda. “Sono io che faccio il vino in vigna… in cantina faccio l’operaia. Io seguo la vigna, la parte tecnica anche in cantina, le macchine, l’imbottigliamento, le pompe, la parte economica, gli operai… Edoardo sta in cantina durante la vendemmia, segue la vendita, le pubbliche relazioni. È lui il creativo in cantina e ogni volta che incontra qualcuno torna con una nuova idea da sperimentare. Siamo complementari: vivere insieme, lavorare insieme: penso che lavorare insieme ci abbia molto aiutato a vivere insieme. Siamo una bella squadra. Lui è molto bravo a tenere i rapporti, io non ce la farei mai. Non sopporto le lunghe cene piene di chiacchiere”.
Il ciliegiolo
“Il vino lo fai con l’uva e se non hai feeling con la pianta è difficile che tiri fuori qualcosa di buono”. Quanto abbiamo già sentito queste parole in questi mesi. E il rapporto di Carla ed Edoardo con il ciliegiolo è diventato veramente unico nel tempo. È grazie a loro e a pochi altri se questo vino è cresciuto così tanto negli ultimi anni. E quando ti raccontano come lo studiano, come lo trattano e come lo lavorano, capisci anche quanto lo amano e comprendi di essere entrato in un mondo.
“Prima di tutto dal punto di vista agronomico devi avere un feeling con la pianta per fare un buon vino. E il ciliegiolo per me è una pianta bellissima, simpatica, sana, qui cresce benissimo, ha tutto il caldo di cui ha bisogno. Qui piove pochissimo soprattutto a fine estate, inizio autunno, e questo è importantissimo. Le annate peggiori come il 2002 e 2005 sono state quando ha piovuto a fine estate. È una pianta molto generosa, vigorosa, che va tenuta un po’ sotto controllo, perché altrimenti produce quantità megagalattiche, grappoloni grossi.
Come si trova nei libri di primo ‘900, già da allora era considerata un’uva a duplice attitudine, quindi anche da tavola. Infatti è molto buona anche da mangiare, e per questo si riconosce dal sangiovese. Piace molto anche ai cinghiali che la riconoscono in mezzo alle vigne e ne sono ghiotti. Il fatto che sia buona suona male perché fa pensare a una scarsa concentrazione, a un colore scarico e invece dà un vino di struttura, con capacità d’invecchiamento, e questo grazie alla gestione della pianta in vigna.
Quando abbiamo acquistato la vigna di San Lorenzo, subito dopo l’acquisto della proprietà, pensavamo di estirpare il ciliegiolo, che era stato piantato nel 1960. Al tempo era chiamato ‘dolciume’ ed era poco apprezzato, serviva per allungare il sangiovese. In quel periodo tutti arrivavano a comprare terreni in Maremma e piantavano Cabernet e Merlot. Pagli però, che già lavorava il ciliegiolo con Rascioni e Cecconello, ci ha fatto cambiare idea e lo abbiamo tenuto. Oggi tutto il nostro ciliegiolo proviene dalla selezione massale del San Lorenzo. E non solo il nostro, tanto del ciliegiolo che c’è in Toscana proviene da lì.
Il ciliegiolo matura una settimana prima del sangiovese ed è molto resistente alle malattie e alla siccità. Ci fa ben sperare anche per la resistenza ai cambiamenti climatici.
Questi cambiamenti li stiamo già vivendo molto in cantina, prima il ciliegiolo tendeva a ridursi, ad avere poco contatto con l’ossigeno e generare odori sgradevoli, quindi utilizzavomo barrique, travasi frequentissimi, tutte cose che favoriscono l’ossigenazione: il legno è poroso e lascia passare molto ossigeno, e nelle barrique, il cosiddetto “legno piccolo”, la quantità di vino a contatto con la parete della botte è alta, quindi il passaggio di ossigeno è maggiore. Adesso avviene il contrario, il ciliegiolo tende a ossidarsi, quindi dobbiamo usare botti grandi, in cui la quantità di vino a contatto con il legno è proporzionalmente minore, quindi lo scambio di ossigeno è inferiore. Questo è successo tra prima e dopo il 2000 con tutte le uve, sia dalle vigne vecchie che dalle vigne giovani.
Le diverse vinificazioni ci hanno permesso di provare la duttilità di quest’uva che risponde bene a tutto. Ha tannini bevibili in poco tempo, può invecchiare molto bene, fare lunghe macerazioni. Mi sembra molto strano che non sia stato apprezzata prima.
Con il ciliegiolo facciamo un po’ di tutto: Ciliegiolo giovane in acciaio, ma anche il Lady Marmalade, un rosato di gran carattere, col salasso del san Lorenzo, decisamente non un rosato ‘per signorine’. Facciamo poi il San Lorenzo, da singola vigna, in botte grande, il Poggio Pinzo che sta un anno sulle bucce, in terracotta e il Monte Calvo, vinificato un po’ alla francese, con 15% di raspi e grappolo intero. Una vinificazione più leggera, con un po’ meno estrazione, ma con il raspo.
Il tufo e i vini vulcanici
“Ciliegiolo e tufo sono i 2 elementi caratterizzanti di quest’azienda. Qui tutto è nel tufo. Il tufo ha risorse incredibili per tenerti bene la vigna, non spinge, non è bagnato. Non ha sostanze nutrienti perché sono terreni giovani e non c’è ancora un suolo ben formato, però è ricco di minerali e si rapporta molto bene con l’acqua. In primavera il prato è pieno di orchidee colonizzatrici.
I vini vulcanici hanno sempre una speziatura importante, forte personalità, si fanno riconoscere. Raramente sono gentili, e senti l’età del vulcano (a 200.000 anni sono giovani). Non ti lasciano mai indifferente, ti danno un cazzotto sul naso. Nei vini si sente tanta mineralità, salinità, si sente il vulcano. Le zone principali in Italia sono qui, nel Vulture, il Vesuvio, i campi flegrei, la zona dell’Etna in Sicilia, e a Nord i colli Euganei e il vulcano coricato in orizzontale per 300 kmq in Valsesia, sotto i comuni di Gattinara e Borgosesia”.
Anche la cantina di Sassotondo è completamente scavata nel tufo ed entrarci è una vera emozione!
La collaborazione con Pedro Parra
“Io e Edoardo abbiamo un bellissimo rapporto con Attilio Pagli, il nostro enologo. Qualche volta va avanti lui, qualche volta noi… e lui ci ha consigliato il rapporto con Pedro Parra, agronomo di fama internazionale, cileno. Pedro fa studi per definire dei micro terroir all’interno delle vigne. La sua idea è che nei terreni con grande variabilità e già ottima riuscita finale puoi evidenziare delle porzioni in cui i risultati possono essere eccelsi. E se vinificati separatamente possono dare risultati pazzeschi.
Lavora non sulla struttura del suolo, ma su quella della roccia, lavora sulle microzonazioni – d’altra parte ha fatto tanti studi in Borgogna e in California.
Cerca l’evoluzione della roccia partendo dal presupposto che una roccia meno alterata è più minerale. È più difficile da lavorare, meno produttiva, ma dà risultati di grande profondità.
Pedro organizza l’analisi geoelettrica del suolo (arrivano con quad, slitta, magnete, producono mappe colorate, leggendo le quali Pedro ti dice dove fare buchi, buchi larghi 50 cm, fatti con la ruspa)”.
“Quando i buchi sono pronti, Pedro arriva e si entra con lui, due metri sottoterra, e iniziano studi di profilo per giorni, stratificazioni, terra, interazioni delle radici… è faticoso e costoso, ma è una grandissima esperienza.
C’è un altro mondo sotto. Questi suoli vulcanici sono giovani, diversissimi tra di loro a distanza di pochi metri.
Pedro prende blocchetti di tufo e te li apre davanti come delle ostricone, e dentro c’è un corallo di radici. È venuto l’ultima volta nel 2017, anno secchissimo, e ha trovato in profondità, a un metro e mezzo, un’umidità che non ti saresti mai aspettato.
Oltre che capire la particolarità del terreno, riesce a dirti cosa sarà quel vino. Nella Vigna senza fine di ciliegiolo ha delimitato 2 poligoni adiacenti, e li abbiamo vinificati separatamente in 2 giare di terracotta. I 2 vini che ne sono usciti, lavorati nello stesso identico modo e provenienti da viti vicinissime, sono molto diversi. Sono definiti dal profilo, secondo lo stato di alterazione della roccia madre, e uno è un vino più ‘Chambolle’, un vino verticale, che viene dalla roccia, più elegante ma più difficile da fare, perché le condizioni del terreno sono più dure anche per la vite (il team ha denominato questa tipologia ‘Audrey Hepburn’) e l’altro è più ‘Vos Romanee’, più morbido e voluttuoso (‘Monica Bellucci’) da terreno dove la matrice minerale è più evoluta. È molto interessante, ma io li avrei chiamati ‘Clint Eastwood’ e ‘Brad Pitt’…
Poi Pedro ha presentato a Edoardo un enologo che lavora spesso in Borgogna e che gli ha insegnato a fare i vini un po’ alla francese, lasciando una percentuale dei raspi in macerazione, è così è nato il Monte Calvo”.
Teroldego e Nocchianello
La grande passione di Carla e Edoardo sono oggi i vitigni autoctoni della Maremma, ma Carla viene da Trento e non ha potuto fare a meno, a un certo punto, di portarsi in Maremma delle piante di Teroldego.
“Il Teroldego qui viene benissimo. In Trentino sviluppa soprattutto antociani, colore, mentre qui è tannino puro. Molto colorato e molto tannico. Sta benissimo al caldino, ma ci abbiamo messo anni a capire come vinificarlo. Era buonissimo ma bisognava aspettare 10 anni per berlo. Adesso lo produco togliendolo dalle bucce a metà fermentazione. Alla fine lo unisco al ciliegiolo ed esce il Franze (come Francesca, mia figlia), un vino che ci sta dando tanta soddisfazione”.
A proposito di vitigni autoctoni chiacchieriamo con Carla sul fatto che comunque tutti i vitigni sono stati prima o poi importati. Ma il Nocchianello no.
“Qui c’erano tanti vitigni autoctoni, e sono stati presi dalle vigne prima che venissero espiantate. Erano gli anni ‘80. Dal CRA di Arezzo sono venuti e hanno preso tutte le piante che non riconoscevano e le hanno messe in un vigneto collezione e le hanno studiate e all’interno hanno trovato dei vitigni che non hanno corrispondenze genetiche con niente: i Nocchianelli.
I vecchi parlano dei nocchianelli come delle uve più buone della zona. Mi è sembrata un’uva interessante e l’abbiamo innestata. Ci abbiamo lavorato per 10 anni e poi siamo riusciti a farlo iscrivere nel registro delle vigne. Oggi si può coltivare ed è un autoctono vero. E noi da qualche anno produciamo il nostro Nocchianello, di cui siamo molto orgogliosi”.